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  1. TullioConforti
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    Riccetto ed i bisonti (2):

    Tre giorni marcio' il villaggio, dormendo all'addiaccio sotto le coperte di pelle, gli uomini spesso legati ai cavalli per evitare razzie di tribu' ostili, che sarebbero state particolarmente gravi durente un trasferimento.
    All'alba del terzo giorno tornarono gli esploratori e portarono la notizia che tutti stavano aspettando: i bisonti erano stati avvistati: Riccetto aveva detto il vero. Sogno o non sogno dovette essere un bel sollievo per lui.
    Oltre la collina, a poche ore di galoppo, una mandria immensa trottava pigramente nella pianura, appesantita dal grasso accumulato durante le scorpacciate estive.
    Le donne lanciarono trilli entusiastici.
    Gli akicita lanciarono occhiate raggelanti ai piu' irruenti che gia' incitavano i cavalli.
    I capi scelsero, come sempre prima della caccia, i venti piu' bravi, piu' rapidi, piu' letali cacciatori, perche' attaccassero per primi la mandria. Il loro bottino sarebbe stato destinato a tutti coloro che non potevano provvedere a se' stessi, ai poveri della tribu', alle vedove, alle donne ripudiate e non rimaritate, ai vecchi, ai wintke, i vestiti da donna, gli omosessuali maschi, costretti a vivere ai margini dell'accampamento e non ammessi alla caccia. Era questo di cacciare non per se' ma per la comunita', il massimo onore che i capi potessero concedere.
    Non soltanto il sogno di Riccetto era stato veritiero. La visione era stata miracolosa, un altro segno chiarissimo-penso' il padre-della speciale predilezione dello Spirito per quel suo ragazzo strano.
    Sotto gli occhi estasiati dei cacciatori, la prateria aveva cambiato colore. Il verde pallidissimo dell'erba autunnale era divenuto un mare color marrone intenso, il colore delle pellicce dei bufali che la coprivano a perdita d'occhio.
    Era da molte estati, sentenziarono i vecchi, da molti anni che non si vedeva una mandria cosi' grande, e ancora non lo potevano sapere, ma cosi' grande non l'avrebbero vista mai piu'.
    Hoka Hey! gridarono i capi, Hoka Hey! fecero eco i guerrieri, all'attacco! E la caccia comincio'.
    Con la cura e la sapienza distillate da generazioni, i cacciatori divisero le loro forze in due gruppi, per aggirare la mandria che trottava annusando nervosa l'aria.
    Gli uomini avevano cura di restare sempre sottovento, per evitare che l'odore dei cavalli e degli uomini mettesse in allarme i tori adulti, che coprivano i fianchi della mandria, esattamente come facevano i guerrieri, per proteggere le femmine ed i piccoli al centro.
    Cacciare il bisonte in quelle condizioni era un'impresa che richiedeva un'abilita' straordinaria ed un coraggio leonino. Armati di sole frecce e lance, i guerrieri cacciatori dovevano avvicinarsi a pochi metri da quei colossi muscolosi lanciati in piena corsa, e colpirli nell'unico punto vulnerabile, sopra la spalla sinistra, per raggiungere il cuore. Inutile mirare alla testa, perche' il bisonte ha un doppio cranio, come il doppio scafo dei sottomarini e delle superpetroliere, e le frecce dei Sioux rimbalzavano innocue su quei testoni corazzati che soltanto i proiettili ad alta velocita' dei cacciatori bianchi molti anni dopo riusciranno a perforare.
    Neppure colpirli ai fianchi era garanzia di successo, perche' se l'angolo d'impatto della freccia non era precisamente perpendicolare, la punta schizzava via sulla loro pelle robusta, come un sasso a pelo d'acqua. Adoperare i pochi fucili ad avancarica che gli indiani cominciavano ad acquisire in quel periodo non avrebbe avuto senso. Da lontano le pallottole non avrebbero raggiunto il bersaglio con forza sufficente. Da vicino quegli archibugi, lenti e complicati da caricare anche nelle migliori condizioni erano impossibili da manovrare sulla sella di un cavallo lanciato ventre a terra, sarebbero stati soltanto un impiccio.
    Lentamente, coraggiosamente i cacciatori dovevano aggirare la mandria secondo il vento, accostarsi ai tori, mettersi al passo con loro, penetrare zigzagando nelle loro file ma evitando di attraversare il percorso di questi animali alti fino a due metri, pesanti una tonnellata e lanciati a cinquanta chilometri all'ora, ed avvicinare il cuore tenero della mandria, le femmine ed i vitelli, per colpirli.
    Non era una corrida, lotta truculenta ma coreografata ed impari fra uomo ed animale. Era una battaglia vera e propria, nella quale molti uomini pagavano con la vita il privilegio di cacciare per la tribu'. Cavalli cadevano e cavalieri finivano sbalzati di sella e spappolati dagli zoccoli dei bisonti. Una mischia furibonda, ed ad alta velocita' si scatenava tra uomini ed animali, mentre l'aria si riempiva di polvere, delle grida lanciate dai guerrieri, dei muggiti strazianti dei vitelli feriti e delle loro madri e delle urla di terrore degli uomini caduti che vedevano la mandria prossima a calpestarli. Molte donne avrebbero intonato il canto della morte, quella sera, come tutte le sere della caccia al bisonte.
    Dopo che i guerrieri scelti avevano ucciso i primi animali per i poveri e le vedove, e gli altri erano riusciti a penetrare le difese esterna del branco, la caccia diventava un affare individuale, ognuno per se' ed il Grande Spirito per tutti. Ciascuno scieglieva il suo bersaglio e cercava di abbatterlo come meglio poteva.
    Riccetto, che era stato ammesso alla sua prima caccia come premio per aver avvistato la mandria, affianco' un vitello che sembrava di un anno, scocco' la sua freccia nella spalla sinistra, come gli era stato insegnato e con un tuffo al cuore vide la bestia inciampare e cadere: il suo primo bisonte colpito. Il suo primo successo.
    Ma il vitello si rimise sulle gambe, riprese a galoppare. Riccetto lancio' un'altra freccia, poi un'altra ancora ed un'altra ancora, otto, come racconto' la sera attorno al fuoco, prima che l'animale, cosparso di frecce colorate, come le banderillas sulla groppa del toro da corrida, finalmente stramazzasse morto.
    Era il momento piu' pericoloso della caccia. Quando una bestia crollava uccisa, il resto del branco scartava bruscamente per evitarla, continuando la corsa nel panico, e minacciava cosi' di travolgere il cavallo dell'uccisore che doveva manovrare la sua monta fra bestioni impazziti, come il guidatore di un'utilitaria che dovesse pilotare la sua auto fra centinaia di autotreni guidati a tutto gas da autisti ubriachi.
    Non era neppure il caso di fermarsi, perche' il resto della mandria sopravveniente al galoppo avrebbe travolto e fatto polpette dell'incauto che fosse smontato per ammirare la preda abbattuta. Bisognava continuare, galoppare, fino a quando ci fossero state frecce nella faretra e fiato nei polmoni del cavallo.
    Riccetto ne aveva sprecate una quantita' proporzionata alla sua inesperienza. Era rimasto a secco e dovette manovrare per districarsi dalla mischia, zigzagando con il suo cavallo tra i bisonti, senza farsi travolgere, come poco alla volta, uno per uno, facevano gli altri cacciatori Oglala, a mano a mano che le loro frecce finivano.
    Alla sera la prateria era cosparsa delle carcasse dei bisonti uccisi e la tribu' era al settimo cielo. Le donne correvano eccitate da una carcassa all'altra, armate degli affilatissimi coltelli da macellaio che avrebbero usato per scuoiarle e squartarle, cercando la bestia abbattuta dal loro uomo e riconoscibile dalle frecce ornate con le piume ed i colori del clan. Ogni guerriero ed ogni cacciatore aveva le proprie insegne dipinte sulle armi, per riconoscere quale bisonte ucciso gli appartenesse e gli akicita, i magistrati poliziotti, dovevano intervenire spesso per sedare liti e dirimere controversie quando frecce di diversi colori, dunque di diversi cacciatori, stavano conficcate in una stessa carcassa.
    Valutavano con occhio esperto i colpi, esaminavano la bestia per vedere quale freccia avesse inferto il colpo mortale e stabilivano a chi spettasse il bisonte, o in quante parti andasse diviso. La loro autorita' era assoluta, il loro giudizio finale, e la punizione per chi non avesse rispettato la sentenza poteva essere terribile. Ma dovevano fare bene attenzione a mantenersi equi ed imparziali. Quando un magistrato degli akicita sbagliava nell'ordinare un castigo, nell'imporre un pignoramento punitivo di beni, veniva condannato a subire il doppio della pena inflitta, qualunque essa fosse. Una maniera brutale ma efficacissima per scoraggiare abusi ed errori giudiziari e mantenere onesti i giudici.
    Mentre i guerrieri riposavano esausti, massaggiandosi l'uno con l'altro i muscoli delle braccia indolenziti dalla fatica di tendere le corde degli archi diecine e diecine di volte, curandosi le ferite con gli unguenti e le polveri a base di muffe antibiotiche preparate dagli sciamani della tribu', i medici del villaggio, ed accudendo ai cavalli piu' esausti e malconci di loro, le donne si gettavano sugli animali abbattuti, aiutate da tutte le femmine della famiglia.
    Non c'era un minuto da perdere, ne' un pezzo da sprecare. Quando la caccia finiva era quasi sempre pomeriggio avanzato e la notte avrebbe portato molti e temibili concorrenti, non meno affamati degli indiani.
    La prateria, ancora in quella meta' del XIX secolo, brulicava di predatori a quattro ed a due zampe, aquile, falchi, orsi, lupi, corvi, avvoltoi e soprattutto coyote, tutti ansiosi di partecipare al banchetto di bisonte imbandito dai cacciatori.
    Le donne erano velocissime ed abilissime, nel loro lavoro. Dalla loro abilita' di macellaie, sarte, cuoche, dipendeva la sopravvivenza di tutto il villaggio almeno quanto dipendeva dal valore dei cacciatori. Senza la loro capacita' di sfruttare fino allo zoccolo quelle carcasse, tutta la fatica degli uomini sarebbe stata sprecata.
    Scuoiavano i bisonti, tagliando e separando le pezze della loro pelle secondo il futuro impiego, le aree piu' morbide per farne coperte, quelle piu' robuste destinate alla concia per farne la copertura delle tende. Per un tipi' normale, una tenda unifamiliare capace di ospitare fino a dieci persone, erano necessarie diciotto pelli. Per un tipi' condominiale, dove potevano vivere o riunirsi molti gruppi di persone per cerimonie o consigli tribali, ne servivano almeno trenta.
    Le parti della carcassa erano tagliate e divise. Per prime le interiora, cuore, polmoni, reni, buone per il brodo, e soprattutto il fegato, considerato il boccone piu' prelibato e consumato sempre crudo. I gruppi di donne chine sulle carcasse, dovevano lavorare circondate da sciami di bambini che le tormentavano con la richiesta di pezzetti di fegato crudo, che loro di tanto in tanto gli gettavano per tenerli buoni. Soltanto per riaverli intorno, un istante dopo, ancora piu' ronzanti e fastidiosi.
    Filetti controfiletti, spalle erano rapidamente affettati in lunghe strisce di carne sottile, che poi venivano stese sopra griglie fatte con bastoncini di legno e sistemate sopra le braci, perche' si affumicassero. Una tecnica che i pionieri bianchi impararono subito ed imitarono. Ancora ogi quelle striscioline di carne affumicata, chiamata beef jerky, sono vendute in ogni supermercato americano.
    Nulla doveva essere sprecato. Le corna grosse e corte, sarebbero state scavate per servire da mestoli, cucchiai ed utensili da cucina.
    Gli zoccoli sarebbero stati bolliti per farne adesivi e colle. Gli scalpi, i ciuffi di pelo denso e ruvido sul cranio, sarebbero divenuti copricapi per la guerra e le cerimonie solenni. Le vesciche seccate e poi riempite di sassolini sarebbero divenuti giocattoli per le bambine, che si divertivano ad agitarle, per accompagnare le loro danze, come le maracas. Lo sterco, seccato e compresso in mattonelle era il combustibile per il fuoco. Il bisonte era l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine, il centro della vita dei Sioux, dei cacciatori delle Grandi Pianure. Con il bisonte i Sioux vivevano felici e prosperi. Senza il bisonte sarebbero stati detinati a morire.
    Per questo il "bufalo", per seguire il quale probabilmente le tribu' asiatiche avevano attraversato lo stretto di Bering ed erano arrivate sul continente americano, era molto piu' di una preda ambita. Il bisonte era il dono che il Grande Spirito aveva fatto ai suoi figli, era il messaggero ed il ponte fra la Terra ed il Cielo. Non per nulla la madre di tutto il popolo indiano, la mitica donna dal cui grembo benedetto discendono tutti gli indiani secondo la loro tradizione si chiama "Donna del Bufalo Bianco".
    Dunque prima che il villaggio potesse piantare le sue tende e concedersi una scorpacciata srale di bisonte per chiudere il giorno della grande caccia, i capi e gli sciamani scieglievano l'animale piu' grosso e lo offrivano al Grande Spirito, in segno di riconoscenza per quel cibo e di rammarico per quella morte.
    Nel circolo intorno al fuoco centrale del villaggio, i capi rendevano grazie a Dio e chiedevano perdono a lui, al "fratello bisonte" per averne sparso il sangue, spiegandogli che quel massacro era necessario, ma doloroso e che mai avrebbero ucciso piu' animali di quanti ne fossero serviti al popolo. Dopo la cerimonia la carcassa restava all'aperto per molti giorni, prima di essere bruciata e le ceneri sparse al vento della pianura perche' fossero come i semi portati dagli insetti e dagli uccelli, promessa di rinascita per molti altri bisonti.
    Quella sera di autunno, per la prima volta nella sua vita Riccetto fu invitato alla cerimonia. Era il riconoscimento per il suo ruolo centrale nella scoperta della mandria e poi del valore diimostrato nella caccia. Il ragazzo si stacco' dal gruppo dei suoi amici, lascio' il fianco del suo inseparabile kola, Schiena Alta, per unirsi al cerchio degli adulti e dei capi, tra le urla di gioia e di orgoglio dei compagni e sotto lo sguardo fiero ed umido della madre.
    Dovette essere un momento esaltante, un attimo di ebbrezza insuperabile. Lui, un ragazzo, aveva aiutato il suo popolo, aveva sfamato la sua gente, aveva ricevuto il suo diploma da adulto, di cacciatore, di guerriero, di Oglala, di Sioux.
    Ed in quella notte autunnale, nel buio della prateria scosso dai canti dei guerrieri e dalle risate delle donne, vibrante di grida felici, di fuochi, di deliziosi profumi di carne fresca e di sangue di bisonte, Riccetto immagino' le molte altre cacce alle quali avrebbe d'allora in poi partecipato, come i padri dei suoi padri, da quando la Donna del Bufalo Bianco aveva creato gli indiani.
    Non sapeva che quella sarebbe stata l'ultima grande caccia al bisonte alla quale avrebbe partecipato. Non sapeva che nessun indiano avrebbe mai piu' veduto una mandria cosi' grande galoppare nella prateria. Il tempo della caccia al bisonte era finito. Per Riccetto, per Cavallo Pazzo, stava per cominciare il tempo della caccia all'uomo.

    Edited by TullioConforti - 12/5/2008, 19:02
     
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